Il barbiere del San Carlo

IMG_0189“Dottò, non perdete tempo, questa è una brutta storia”. “Scusate ma voi chi siete?” chiedo io allo strano signore che mi avvicina mentre cerco di riporre la mia macchina fotografica nella borsa. “Vi ho visto che facevate fotografie al nostro sindaco. Dunque siete un giornalista? “Veramente no, faccio foto per passione. Ma voi chi siete?” “E va beh, fa lo stesso. Dottò sentite a me, non date retta a quello che si dice, questa è una brutta storia.”

Sto seguendo la manifestazione organizzata dai lavoratori del teatro San Carlo che protestano per il commissariamento della gestione del teatro. Faccio qualche foto, ascolto l’intervento dei rappresentanti dei lavoratori, di quelli che sono venuti dal teatro dell’Opera di Roma che sono finiti sotto al giogo della legge “Valore cultura” del ministro Bray. Anche il sindaco fa il suo intervento ed alla fine tutti insieme si canta un bel Va Pensiero.

Improvvisamente mi si avvicina un omino alto e magro, non sembra uno che se la passa bene ma ha uno sguardo pieno di dignità. Forse ha solo voglia di parlare un po’ con qualcuno.

“Scusate, non faccio il giornalista e non sono neanche dottore, ma perché è una brutta storia? Ma voi chi siete? Siete un musicista?”.

L’omino mi guarda, fa un passo indietro, prende fiato e attacca.

“Non fa niente, non vi pigliate collera, ma se fotografate questi signori che suonano e cantano, dovete sapere tutta la storia. Mi chiamo Alteo. Frequento la galleria Umberto da quando ero piccolo, oggi ne ho quasi ottanta, qui si riunivano il lunedì pomeriggio tutti i barbieri della città ed io venivo a cercar mestiere. Mi prese a bottega don Gianni, aveva la bottega qui dietro, al vico Corrieri, era un gran melomane, loggionista di ferro, critico severo e grande conoscitore delle opere di Mozart. Fu lui a portarmi la prima volta al San Carlo a sentire Le Nozze di Figaro e da allora la mia vita è stata tutta forbici e teatro. Mia moglie è venuta a mancare presto, i miei figli se ne sono andati a lavorare a Milano, loro hanno studiato, la galleria ed il teatro sono la mia casa. Qua mi conoscono tutti”.

Sono totalmente rapito dall’allampanato vecchietto che mi sta di fronte, è chiaro, mi ha scelto, mi ha catturato, non mi resta che arrendermi senza combattere.

“Qua nessuno ha capito niente, tutti pensano che sia una questione politica. Non date retta, questa è una questione di burocrati e di soldi, tanti soldi. Questo è il teatro più importante del mondo, in tanti ci hanno cantato e suonato ma in tanti ci hanno pure mangiato. Nicolini nel 1817 ne fece un gioiello dall’acustica perfetta, con una platea meravigliosa ed un palco superbo dove sogni e personaggi vivevano per il piacere del pubblico. Tosca, Mimì, Aida e Butterfly, Turandot e Fiordiligi, Violetta, hanno tutte preso vita tra le quinte di questo teatro e ci hanno incantato per secoli. Mo’ non si sente più una mazza, il palco invece di inclinarsi va solo su e giù e stanno pure pieni di debiti”.

“Ma come” chiedo io “in un teatro così famoso ci sono i debiti?”

“Il fatto è che, più o meno, i debiti ci sono sempre stati e con i debiti gli scandali. Ve la ricordate nel 1989 la storia delle funi della macchina scenica pagate a peso d’oro? Ora il fatto è questo: alla fine del 2006 il bilancio del teatro stava con le pezze al culo, Gioacchino Lanza Tommasi lasciò il suo posto e venne Sasà Nastasi.”

“E chi è sto Nastasi?” chiedo.

“Uno che veniva da Roma, dicevano i maligni che il padre fosse amico di Gianni Letta, l’amico di Berlusconi. Al Ministero dei Beni Culturali, lo avevano fatto direttore generale con quella capa di lampadina di Urbani, poi ha continuato con Buttiglione, Rutelli e pure Bondi. Arrivarono dei soldi, lui faceva il commissario e come sovrintendente fu nominata una che veniva dal Piccolo di Milano, Rosanna Purchia, che non si è mai capito bene chi fosse”.

“Mi scusi, ma a lei, tutte queste cose, chi gliele dice? E perché le racconta a me?” devo ammetterlo, sono un po’ spaventato dal piglio del mio interlocutore, faccio un passo indietro ma lui mi incalza.

“Dottò, dovete sapere che alla mia età si ha un sacco di tempo libero e quelli, i figli miei, mi hanno lasciato a casa un computer. Lo usano per telefonarmi ed io, a forza di giocarci, ho anche imparato a cercarmi le notizie, come dite voi, in rete. Così risparmio pure i soldi del Mattino. Vi stavo dicendo, la Purchia è quella che ci ha lo stipendio più alto del San Carlo, si alza 150.000 euro, pensate che al direttore artistico ne danno solo 80.000”.

“E perché mi dite che è una che non si capisce?”

“Dottò, io non vi dico niente, voi mi sembrate un ragazzo sveglio, andate sul sito del teatro, guardatevi i curricula di tutti quelli della fondazione e fatevi un’idea”.

C’è qualche cosa che non mi torna, un anziano signore male in arnese, che probabilmente si ricorda i fasti di Caruso e Gigli, che mi parla di siti internet. Decisamente singolare. Il signor Alteo mi guarda dritto negli occhi, i suoi sono quelli di un ragazzino, e continua.

“Vi stavo dicendo, arrivano questi soldi, il teatro stava sotto di cinque milioni, e don Salvo, come lo chiamavano gli amici all’epoca, si mise a fare ammuina.”

“E fece una buona ammuina?” gli regalo questa domanda per farlo rifiatare ma è chiaro che non ne ha bisogno.

“Fece girare i soldi, si fecero un sacco di lavori, si vantò di aver risanato il teatro dentro e fuori. Fece incazzare il maestro De Simone che si prese la questione anche con il maestro Muti perché sosteneva che, avendo distrutto i pozzi di amplificazione del progetto originale, avevano irrimediabilmente rovinato l’acustica del teatro. E pure la macchina scenica era venuta una mezza schifezza.”

“E chi aveva ragione?”

“Dottò, voi siete troppo giovane per ricordarvelo, ma quello, il teatro, era uno spettacolo. Qua sono passati i più grandi. Ora hanno fatto tutto bello ma lo strumento non suona più, il foyer è tutto marmi e ottoni ma non si vede più cosa accade in fondo al palco, gli hanno levato il cuore”.

“Però ha continuato a funzionare” osservo timidamente.

“E come no. Nastasi era bravo a fare la sua parte. Lui era il commissario, la Purchia la sovrintendente e tutto sembrava funzionare. Pensate che dopo la tournè in Giappone del 2005 andarono pure a suonare in Cile nel 2010 e nel 2011 in Russia da quel brutto coso di Putin. In quel periodo, fine estate 2010, trovò pure il tempo di sposarsi con la figlia di Minoli, quello che faceva le interviste alla Rai ed era tanto amico di Craxi. Ve lo ricordate? Fecero un grande matrimonio a Filicudi. Raccontano i giornali dell’epoca che circa una anno dopo al San Carlo si aprì il museo, il Memus. Lo misero dentro il Palazzo Reale e indovinate chi ci lavorava? La moglie di Nastasi. Il 25 luglio del 2011 fu adeguato lo statuto della fondazione e tra i suoi scopi si leggono anche quello di fare una web Tv ed un museo. Dottò, sta tutto su internèt”.

Quell’accento sull’ultima e, tipicamente partenopea, mi fa scappare un sorriso. Don Alteo se ne accorge e sorride con me.

“E poi? Che è successo?” devo capire bene dove vuol arrivare don Alteo, più parla più si infervora, sento che siamo ad un passo dal colpo di scena.

“E poi succede che si blocca la macchina. Il 13 dicembre del 2011, finita l’emergenza economica, si ricostituì il consiglio di amministrazione della fondazione, pure la Corte dei Conti nel 2012 fece una bella relazione sul San Carlo, ed il nuovo presidente era Luigi de Magistris, il sindaco salito a furor di popolo giusto sei mesi prima. Tutto sembrava in ordine e risplendente”.

“E invece?”.

“E invece arriviamo alla fine della stagione 2012, il 20 luglio, il giorno dopo l’ultima replica della Cavalleria Rusticana. Trapela la voce che la dirigenza del teatro vuole congelare una parte dello stipendio dei dipendenti del teatro senza spiegare bene il perché. Quelli lo scoprirono ed invece che andare in vacanza, andarono in teatro ed occuparono la sovraintendenza. Scoppiò il quarantotto. Arrivò prima vicesindaco e poi de Magistris in persona che si schierò subito dalla parte dei lavoratori che si sentirono ascoltati, si calmarono ed accettarono di non far saltare un concerto previsto in quei giorni nel quartiere di Ponticelli”.

“E quindi? Dove stava il problema?” la storia è ormai diventato romanzo di fantapolitica. Gli elementi ci sono tutti. I malvagi burocrati, gli artisti, i soldi, la lotta tra il bene ed il male.

“Il problema stava nel fatto che i soldi giravano, ma, evidentemente, i conti non tornavano e bisognava tappare in fretta qualche buco. Il giochino non riuscì, gli stipendi furono salvi e le giarretelle si ruppero. Da una parte lavoratori e sindaco dall’altra la dirigenza del teatro. Passa circa un anno e Sasà Nastasi nel 2013 se ne va a fare il direttore generale al ministero, dopo gli anni da commissario era rimasto come consigliere di amministrazione nominato dalla Regione. Se ne andò sottolineando che dalla sua venuta come commissario, il San Carlo chiudeva per il quinto anno consecutivo il bilancio in pareggio. Dottò, sentitemi bene, nel 2012 il bilancio del teatro era in pareggio”.

Gli occhi di don Alteo sono di fuoco ma a me sfugge qualche cosa. “Bene, quindi tutto a posto. O no?” chiedo sapendo di perdere punti nella considerazione dell’anziano barbiere napoletano.

“Dovrebbe, ma intanto Pompei se ne cade a pezzi, nessuno va più al cinema e da Roma arriva la mossa del ministero, un bel decretino chiamato Valore cultura che si propone di risanare una serie di situazioni tra cui anche le fondazioni lirico-sinfoniche. Il patto è: io ministero tappo i buchi, tu teatro riduci il personale, riduci gli stipendi ai lavoratori cancellandogli il contratto integrativo e ti prepari ad almeno tre anni di vacche magre, anzi magrissime. Solo sulle consulenze ti lascio possibilità di manovra. E ho detto tutto”.

Mi rendo conto improvvisamente che intorno a me la manifestazione è finita, alcuni bambini giocano a pallone usando le saracinesche dei negozi come porte, la gente comincia a sfollare verso l’uscita di via Toledo, ma il gran finale che aspettavo deve ancora arrivare.

“Ho capito, il decreto Bray, quello del ministro che va a Pompei con lo zainetto e la circumvesuviana. Ma che c’entra il San Carlo con il decreto Bray?”

“Appunto, quello poi la porcata l’hanno fatta l’altro giorno. Non hanno neanche avuto le palle di dirglielo in faccia al sindaco, hanno fatto gli ombrellini di seta, si sono nascosti sotto la uallera del ministero”.

“Ma chi?” voglio i nomi, non capisco di chi sta parlando.

“Quella grandissima personalità di Caldoro e tutti gli amici suoi del consiglio di amministrazione del teatro. Ma come dico io, compreso che c’è qualche cosa che non funziona nei conti, quello il sindaco non solo si mette a disposizione, cosa che, in fondo in fondo, neanche gli compete e tu presidente della Regione che fai? Pugnali il San Carlo alla spalle”.

“Ma perché, che ha fatto? Che è successo?” questa la sapevo bene ma volevo sentigliela dire.

“Non si è presentato al consiglio di amministrazione, né lui né gli altri quattro, ed ha fatto mandare il commissario dal ministero. Uno del posto che ha fama di essere buono solo a fare licenziamenti. Ma come? Il sindaco si espone, dice che il teatro può produrre i suoi spettacoli da solo, dottò quelli sono il fior fiore degli artisti, e tu che fai? Invece di dare una mano e fare la tua parte, invece di cacciare i soldi che devi cacciare, te ne vai. E poi ti lamenti pure e piangi miseria sulla pelle della città e di tutta la Campania.”

“Ma adesso i lavoratori faranno qualche cosa? Protesteranno?” cerco di proporgli uno spunto per un possibile lieto fine, una parola di speranza.

“Quelli il nemico ce lo hanno in casa. Vedete, hanno fatto il concertino in galleria con quelli di Roma. Guardate quanti ce ne sono. Evidentemente qualcuno è stato convinto a rimanere a casa”.

“Ma perché?” ora gli occhi sono spenti, quasi lucidi. Come se la resa fosse vicina.

“Perché del teatro, della musica, della cultura di questa città non frega una mazza a nessuno. Questi vogliono solo svendere, svuotare, tagliare, così gli affari vanno meglio. Il teatro non ha più coro, bene, se lo vanno a prendere in Polonia come hanno fatto con il Parsifal. Se lo comprano un tot a cantante, quelli vengono, fanno una prova generale, gli spettacoli, se ne vanno ed il gioco è fatto. Dottò, voi sta fotografia la dovete fare e la dovete fare vedere bene a tutti”.

“Don Alteo ma io non sono un giornalista, non scrivo e, vi ripeto, non sono neanche dottore”.

“Avete fatto la foto. E mò fatela vedere” don Alteo chiude la discussione con un imperativo categorico che non ammette repliche.

“Ci proverò, quando sarà pronta ve ne porterò una copia, così poi mi dite se è venuta bene. Ma dove vi trovo? Come vi chiamate?”.

“Io sto sempre qua, in galleria. Mi chiamo Alteo anzi, il mio nome completo è Santalteo e di cognome faccio Carro”.

Apro a borsa per riporre la macchina fotografica, prendo il mio quaderno per gli appunti, cerco una penna, la trovo ed alzo ancora lo sguardo verso il mio nuovo, strano, anziano amico. Davanti a me solo il Teatro San Carlo a fare bella mostra della sua facciata oltre l’oscurità della galleria.

Nota per il lettore: questo docuracconto l’ho scritto per gli amici del San Carlo ed è pubblicato anche nel sito UéCap | Risveglio Cittadino. Dietro la scrittura c’è stato un gran lavoro di documentazione e verifica dei fatti. Se vi interessa approfondire potete leggere qui o in questo altro post troverete una sintetica cronistoria dei fatti.

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