Caro professò

Caro professò, che brutta cosa che vi hanno fatto. E’ poco più di un anno che siete volato in cielo, c’ero a Santa Chiara con tanti altri napoletani a darvi l’ultimo saluto, ed oggi sono venuto a cercarvi. Avevo sentito di questo murales che qualcuno vi ha dedicato in un vicolo dei quartieri spagnoli, vicino alla centralissima via Toledo e sono venuto a cercarvi. Così, per ritrovarci ancora una volta.

Ci sono rimasto assai male. Per come la vedo io, non centra nulla ne con voi ne con quello che ci avete lasciato. Credo che non sia neanche un vero murales, quattro pannelli  azzeccati in faccia ad un muro che riproducono una vostra fotografia abbastanza nota con una delle vostre frasi più famose, quella su Napoli ultima speranza dell’umanità, riportata anche male, e vicino una specie di installazione che rappresenta quattro scugnizzi nell’atto di recuperare con una scopa un Super Santos perso in cima ad una edicola votiva. Non so chi sia l’autore e, francamente, non voglio neanche saperlo.  Professò, meritavate decisamente di più e di meglio.

Se murales doveva essere non vedo perché copiare una delle vostre foto più note. Tempo fa qualcuno pensò di produrre delle bustine di zucchero con le immagino di personaggi  che in qualche modo avevano dato lustro a Napoli. Una roba banale assai, Troisi, Pino Daniele, l’immancabile D10s e voi.  La stessa foto copiata e messa in faccia al muro vista oggi. L’artista si poteva sforzare un po’ di più, dare una sua interpretazione. Poteva scegliere tra il De Crescenzo ingegnere, il filosofo, il divulgatore, il fotografo, l’uomo di mondo.

Dunque ricapitoliamo, avete raccontato Napoli ed i napoletani come nessuno altro è riuscito a fare, definendo uno storytelling unico ed inimitabile. Avete pubblicato il primo e ad oggi unico testo di street photography napoletana, una pietra miliare. Una serie di best seller, tra cui il delicatissimo e poetico “Zio Cardellino”. Divulgato al grande pubblico la storia della filosofia. Avete vissuto una vita lunga e larga fatta di esperimenti, film, programmi televisivi e leggerezze di varia natura lasciando un retaggio che, oramai, è nell’immaginario collettivo della città. Decisamente, professore mio, meritavate molto di più che un brutto disegno in un vicoletto dei quartieri. Unico dettaglio che ho colto e che, secondo me, vi sarebbe piaciuto, proprio di fronte al murales c’è un basso, il classico basso napoletano. E’ occupato da una allegra famiglia di asiatici. Ho visto donne sedute sull’uscio e bambini giocare chiassosi, una cultura lontana perfettamente integrata nella nostra città. Si, lo so, immagine molto banale, ma a Gennaro Bellavista, professore di filosofia in pensione sarebbe piaciuta molto ed in quattro e quattro otto avrebbe somministrato un appropriato fattarello a Salvatore, Saverio e a chiunque si fosse trovato a passare nelle vicinanze sulla natura accogliente della città e sui napoletani uomini d’amore con gli spazi di prossimità estremamente ristretti e affollati.

No, un murales brutto non mi basta. A Luciano De Crescenzo bisogna fare una statua, intitolare una strada del suo Vomero, o di Chiaia o di Santa Lucia. Meglio ancora, un pezzo del lungomare bisognerebbe intitolarlo “lungomare Bellavista”. Tanti napoletani sarebbero ben felici di fare due passi con voi vicino al mare, magari prenderebbero a parlare di Epicuro, Diogene o magari di Socrate e Platone. Magari qualcuno  passeggiando passeggiando potrebbe riscoprirsi uomo d’amore e prenderebbe a sorridere. Qualcuno potrebbe portare a spasso un bambino su un cavalluccio rosso. Figo !

Professò, ci mancate, mancate a tanti. Mi avete dato tanti spunti di riflessione, mi avete fatto tanta compagnia che non ho difficoltà ad ammettere che insieme a Woody Allen e Dario Fo avete contribuito non poco alla mia formazione. E che cavolo, quel murales brutto proprio non ci voleva. Tanto lo so ora cosa mi rispondereste per placare il mio malumore: “E’ brutto, ma mica poi tanto”.

 

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